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31 dicembre 2013

Un theropode non-aviano cenozoico?

Nel precedente post ho fantasticato su possibili scoperte del 2014, incluso un fantomatico enantiornithe eocenico. Nei mie post di "fantasia" includo sempre qualche elemento di realtà, e alcuni lettori lo hanno notato. Anche se non è eccezionale come un eventuale enantiornithe eocenico (che implicherebbe una persistenza di Enantiornithes di almeno 10 milioni di anni dopo la fine del Mesozoico), esiste attualmente almeno un fossile che potrebbe (il condizionale va rimarcato) essere un theropode non-aviano (ovvero, esterno a Neornithes = corolla-Aves) di età Cenozoica.
Xue (1995) descrive un aviale frammentario dal Paleocene inferiore-medio (quindi di età compresa tra 66 e 61 milioni di anni fa) della Cina, ed istituisce Qinornis paleocenica.
L'olotipo ed unico esemplare di Qinornis include parte del tibiotarso e del piede. Sebbene la sua morfologia sia chiaramente ornithurina derivata (in particolare, presenta un ipotarso con solchi, una combinazione di caratteri nota solo nell'intorno prossimo dei neornithi), il grado di ossificazione del tarsometatarso non è avanzato come nei neornithi, al punto che non è presente un solco vascolare distale. Xue (1995) riconosce che questa parziale ossificazione distale potrebbe essere un carattere giovanile e non una effettiva condizione primitiva, e mantiene un'interpretazione cauta nei confronti di questo taxon.
Mayr (2007) tuttavia ritiene che l'esemplare sia effettivamente maturo, dato che prossimalmente il tarsometatarso è completamente ossificato e le ossa non mostrano la texture tipica degli esemplari immaturi, e interpreta Qinornis come membro del grado euornithino di Apsaravis, quindi esterno a corolla-Aves. Tuttavia, un singolo carattere quale è l'ossificazione incompleta del tarsometatarso potrebbe non essere sufficiente per dichiarare Qinornis un valido candidato a non-aviano cenozoico. Sarebbe molto interessante includere Qinornis in una dettagliata analisi filogenetica di Neornithes che includa anche i taxa basali; analisi che finora non è stata testata.
Sebbene Megamatrice non campioni estesamente nei theropodi cenozoici (ovvero, in corolla-Aves), include comunque un buon campione di ornithuromorfi cretacici, ed un taxon vivente, usato come ancoraggio della corolla, Meleagris. Qualora Qinornis fosse parte del "grado di Apsaravis" come ipotizzato da Mayr (2007), ciò dovrebbe perlomeno risultare anche in Megamatrice, ad esempio con una posizione di Qinornis più lontana a Meleagris rispetto alcuni taxa cretacici. Ho quindi provato a testare la posizione di Qinornis in Megamatrice, sebbene sia consapevole che tale risultato, in assenza di un campione rappresentativo di neornithi basali paleogenici, possa essere falsato.
L'analisi preliminare colloca Qinornis come euornithe basale, esterno a Ornithuromorpha e sister-taxon di Longicrusavis sulla base di due caratteri presenti anche nei neornithi (la posizione plantare della regione prossimale del terzo metatarsale, e lo sviluppo del condilo laterale distale del tibiotarso), e quindi è possibile che sia un effetto spurio dovuto all'incompletezza di Qinornis e all'assenza di altri neornithi basali. La ghost-line che tale ipotesi produrrebbe per Qinornis è >40 milioni di anni, e la considero sospetta. 
Imponendo la monofilia del clade "Qinornis + Meleagris" rispetto al resto dell'ingroup si ottiene una serie di topologie che sono solamente 2 steps più lunghe della parsimonia. Imponendo la monofilia del clade "Qinornis + Meleagris + Vegavis"  si ottiene una serie di topologie che sono 3 steps più lunghe della parsimonia. 
Questi test quindi suggeriscono che, al netto della sua frammentarietà (e ridotta informazione ricavabile dalla sua descrizione), Qinornis sia un euornithino di posizione incerta, con probabile affinità con Neornithes. Una ri-descrizione della sua morfologia e valutazione dettagliata delle sue affinità è quindi auspicabile, per risolvere la questione se ci sia effettivamente un non-aviano alla base del Cenozoico.

Bibliografia:
Xue X. (1995). Qinornis paleocenica - a Paleocene bird discovered in China. Courier Forschungsinstitut Senckenberg, 181: 89-93.
Mayr G. (2007). The birds from the Paleocene fissure filling of Walbeck (Germany). Journal of Vertebrate Paleontology, 27(2): 394-408.

30 dicembre 2013

Previsioni per il 2014

Cosa ci riserverà il 2014? Alcuni theropodi sono in arrivo, o almeno così sono stati annunciati in recenti congressi internazionali, e quindi non sono vere e proprie novità. 
In questo post, invece, giochiamo a prevedere cosa porterà il nuovo anno, mescolando desideri e speranze con i nostri pregiudizi relativi al record paleontologico.
Disclaimer: Prima che qualche bimbominkia dietro un nickname mi accusi di aver plagiato altri blog, siti o pagine web inesistenti, ricordo che questa non è la prima volta che pubblico un post "di fantasia" con questo tema, dato che ne scrissi uno simile quasi cinque anni fa.

Tyrannosaurus era più intelligente di Carcharodontosaurus?

Filogenesi di calchi endocranici archosauriani. Modificato da varie fonti.
L'intelligenza è come la bellezza: tutti la conoscono, nessuno sa definirla.
L'intelligenza è una caratteristica che attribuiamo ad alcuni esseri viventi. Già questa prima definizione, che spero nessuno contesterà per quanto grossolana e indefinita, è già utilissima per un paleontologo. In quanto proprietà di un essere vivente, l'intelligenza non è presente in un essere estinto. Un fossile non è intelligente, quindi non ha molto senso perdere tempo a discutere se un fossile sia più o meno intelligente. In assenza di dinosauri mesozoici vivi e reattivi, coi quali interagire, non è possibile fare alcuna affermazione sensata sulla loro "intelligenza", qualunque sia la definizione di intelligenza che preferiate.
Quello che invece possiamo fare è studiare le tracce dell'organo in cui - si presume - l'intelligenza sia "generata", il cervello (ma è bene fare una precisazione anche qui, e sarà di chiusura al post). Ciò probabilmente non fornisce molte informazioni sull'intelligenza (il cervello svolge molte altre funzioni, oltre al "produrre intelletto"), ma sicuramente ci da informazioni utili per capire i dinosauri. I cervelli non fossilizzano, quindi non è possibile analizzare direttamente la morfologia, istologia e fisiologia dei cervelli mesozoici. Quello che fossilizza è la serie di ossa del cranio che contengono il cervello. Qui occorre fare una importante precisazione: il cervello è racchiuso all'interno di un insieme di ossa, ma queste ossa non sono in diretto contatto con il cervello. Un sistema più o meno voluminoso di tessuti protettivi si frappone tra il cervello (o, meglio, il sistema nervoso centrale) e le ossa che formano la "custodia" del sistema nervoso centrale. Negli uccelli, questi tessuti sono relativamente sottili, e di conseguenza la cavità endocranica è occupata in larga parte dal sistema nervoso centrale. Nella maggioranza dei rettili, invece, i tessuti di ricoprimento del sistema nervoso centrale sono molto più sviluppati, e possono occupare circa metà del volume della cavità endocranica. Questo significa che se misuriamo il volume della cavità endocranica di un uccello abbiamo una stima molto buona del volume del sistema nervoso centrale, mentre se misuriamo il volume endocranico di un coccodrillo quel valore comprende in misura quasi eguale il sistema nervoso centrale vero e proprio e i tessuti non-cerebrali che lo avvolgono. Questa differenza di "espansione" del cervello dentro la cavità endocranica lascia delle tracce caratteristiche sulle superfici interne delle ossa che formano il neurocranio. Negli uccelli (ed anche nella grande maggioranza dei mammiferi), la superficie interna presenta la traccia dei vasi sanguigni che irrorano il tessuto cerebrale; inoltre, i differenti "compartimenti" del sistema nervoso centrale lasciano delle tracce evidenti dei loro confini reciproci: di conseguenza, è possibile ricostruire non solo il volume del sistema nervoso centrale di un uccello partendo dalla forma della cavità endocranica, ma anche le differenti regionalizzazioni (come il telencefalo, il mesencefalo, ecc...). In un rettile non-aviano, invece, le superfici interne della cavità endocranica non sono solcate dal tracciato dei vasi sanguigni, per via della presenza significativa dei tessuti "protettivi", e quindi l'impronta sulle ossa non permette di delimitare in modo netto i vari "settori" del sistema nervoso. Queste differenze nelle ossa, quindi, permettono di stabilire se un dinosauro mesozoico avesse un sistema nervoso centrale più simile nella morfologia ed espansione a quello di un uccello o se fosse più simile in queste caratteristiche ad un rettile non-aviano.
In Dinosauria, le cavità endocraniche lasciano tracce evidenti di vasi sanguigni ed una discreta traccia delle regioni del sistema nervoso centrale in due cladi: Pachycephalosauria e Maniraptoriformes (inclusi, come ho scritto prima, gli uccelli). Tutti gli altri cladi, invece, sono più "rettiliani" nella morfologia generale del sistema nervoso centrale. Questo significa che non è possibile stabilire il volume effettivo del sistema nervoso centrale di un dinosauro non-pachycephalosauro e non-maniraptoriforme direttamente misurando la cavità endocranica: come ho scritto prima, tale misura, difatti, sovrastimerebbe il volume effettivo del sistema nervoso.
Per stabilire una misura plausibile di quanto dobbiamo "sottrarre" dal volume endocranico per avere una misura affidabile del cervello nei dinosauri non-pachycephalosauri e non-maniraptoriformi, possiamo prendere come riferimento i rettili moderni. Come menzionato prima, i rettili non-aviani mostrano una quota di tessuto di protezione del sistema nervoso centrale che oscilla attorno al 50% del volume endocranico, quindi è ragionevole usare questo valore anche per determinare il volume cerebrale dai volumi endocranici nei non-maniraptoriformi e non-pachycephalosauri.
Tornando al discorso sull'intelligenza "deducibile" dal cervello. Anche se è indubbio che l'intelligenza sia "prodotta" dal cervello, l'intelligenza non è una entità astratta, né un parametro misurabile in modo univoco. L'intelligenza è infatti il risultato della combinazione di più fattori, sia interni (cervello, organi sensoriali, organi locomotori) che esterni (ambiente, relazioni intraspecifiche e interspecifiche) all'individuo. Inoltre, l'intelligenza, per quanto sicuramente "specie-specifica" (specie differenti hanno "intelligenze" qualitativamente differenti, non sempre comparabili), è innanzitutto "individuo-specifica". Animali adattati ad ambienti ricchi di stimoli, con complesse interazioni sociali e interspecifiche, con un un sistema nervoso adatto a quelle condizioni, manifestano (ognuno in modo individuale) una peculiare intelligenza. La maggioranza di questi fattori non è ricavabile dalla forma della cavità endocranica, e nemmeno dalla semplice osservazione delle ossa fossilizzate. Per questo, "l'intelligenza di un fossile" è una affermazione priva di senso. Senza un animale vivente col quale interagire, noi non possiamo fare alcuna affermazione sulla sua intelligenza. E badate bene, questo non implica avere libertà creativa e immaginare chissà quali intelligenze o comportamenti "esotici". In assenza di indizi sulla presenza di "prestazioni intellettive" particolari, non abbiamo alcun modo di affermare alcunché sull'intelligenza di un dinosauro. Il buon senso ci dice che l'intelligenza, come ogni altro attributo naturale, è il risultato dell'evoluzione, quindi ha una matrice filogenetica, e che si è plasmata in risposta a particolari condizioni ambientali. La matrice filogenetica ci dice che i dinosauri erano, sul piano fisiologico e morfologico, simili ai rettili moderni e agli uccelli, con varie sfumature e mix di condizioni tipiche dei due gradi morfologici. Questo ci dice che, come "background evolutivo", l'intelligenza dei dinosauri deve essere inserita nell'alveo che conosciamo dell'intelligenza dei loro parenti prossimi morfologicamente simili: rettili (in particolare, coccodrilli) e uccelli (in particolare, i grandi uccelli non volatori). Ma non c'è modo di andare molto oltre queste robuste fondamenta evoluzionistiche. Speculazioni aldilà di questo alveo scientificamente consolidato sono prive di fondamento, così come è infondato qualsiasi tentativo di discriminare nel dettaglio tra dinosauri differenti sulla base di mere comparazioni osteologiche.
Per questo, la domanda nel titolo del post è priva di senso.

29 dicembre 2013

Paleoarte e Paleoartismo

Un'immagine dice più di mille parole.
Purtroppo, ciò è vero anche e specialmente quando 900 di quelle 1000 parole non hanno alcun fondamento concreto. In questi anni, mediato dalla rete, si è diffuso un morbo del quale tutti coloro che sono interessati alla paleontologia ne sono più o meno infetti (me incluso). Alcuni ne sono portatori sani, altri sono veri e propri malati cronici. Parlo di un morbo iconografico estremo, per il quale il fine ultimo della paleontologia pare essere diventato la produzione di una rappresentazione iconografica, ad ogni costo... E se tale morbo può essere, appunto, una manifestazione sana di una professionalità (penso a chi, di mestiere, fa l'illustratore naturalistico), per altri è più simile ad una compulsione indotta dalla febbre, ad uno sfogo cutaneo derivante da iper-sensibilità ad un agente tossico, ad una maniacalità.
Parlo della eccessiva produzione di illustrazioni, disegni, opere ed immagini, legate a concetti paleontologici, che poi vengono immesse online senza alcun filtro. Il termine "eccessivo" denota una quantità di opere non supportate da altrettanta quantità di scienza alle spalle delle opere. 
Mi secca ripetere l'ovvietà, ma il ferro va battuto finché caldo (anzi, febbricitante): la paleontologia è una scienza, una elaborazione di concetti. Nello specifico, la paleontologia è elaborazione di concetti derivanti dall'indagine razionale dei fossili. So che può risultare una blasfemia ciò che sto per scrivere, ma NON tutto ciò di cui si occupa la paleontologia deve necessariamente avere una rappresentazione illustrata. Sono pienamente consapevole che la paleontologia - come ogni scienza - ha dei supporti iconografici, che possono estendersi anche nel campo della divulgazione, e generare anche opere d'arte fini a sé stesse. Chiamiamo queste emanazioni iconografiche della paleontologia col termine di "paleoarte" (parole che non tutti amano, ma questo passa il convento). Io stesso ne ho fatto uso per le mie ricerche, grazie alla collaborazione con alcuni dei più importanti professionisti italiani. Quindi non sono ingenuo nel non riconoscere il valore e la forza della paleoarte. Ma tale collaborazione era sempre un mezzo per permettere la diffusione dell'informazione paleontologica, non un fine ultimo di ogni risvolto paleontologico. 
Ciò di cui parlo in questo post è differente dalla paleoarte, anche se non tutti possono cogliere la differenza.
La tendenza patologica che dilaga in rete, la paleoarte diventata non soltanto fine a sé stessa ma che si autoperpetua e si riproduce in modo ossessivo la chiamo "paleoartismo". Il paleoartismo è il volere sempre e comunque tradurre un concetto paleontologico in una rappresentazione paleoartistica, anche e sopratutto quando le fondamenta scientifiche di quel concetto sono deboli e ancora in formazione, anche quando tale concetto non ha sufficiente consistenza empirica o fattuale per essere tradotto in una rappresentazione visiva che sia - perlomeno - supportata dai dati originari.
Per farvi capire la differenza tra paleoarte e paleoartismo, con un'altra metafora medica: se un paleontologo starnutisce, la paleoarte gli porge un fazzoletto, il paleoartismo prende quello starnuto e lo mette in un disegno.
Pensate alla proliferazione di "nuovi Deinocheirus con la gobba" a partire da un mero abstract, nonostante che, attualmente, nessuna descrizione tecnica e - sopratutto - nessuna immagine sia disponibile per questi nuovi resti. Per questo, nei giorni della diffusione online di quelle immagini, io avevo suggerito a tutti di darsi una calmata: non abbiamo nemmeno visto le immagini di queste nuovi scheletri, e già la rete abbonda di versioni più o meno pacchiane. Questa non è più paleoarte! Creare un'immagine di "Deinocheirus con la gobba" senza nemmeno una singola immagine delle nuove ossa è una forma di paleoartismo: la "paleoarte" che si auto-produce e perpetua senza nemmeno avere un supporto di immagine paleontologica, senza essere stata elaborata e ponderata, discussa e comparata col corrispondente iconografico incluso nel dato scientifico.
Oppure, pensate alla produzione online (ormai seriale) di ricostruzioni di dinosauri più o meno stereotipati e manieristici, produzione che ormai va oltre la necessità di avere una consulenza paleontologica. Ad esempio, viene pubblicato un nuovo genere, basato su un numero limitato di ossa, e nel giro di un paio di giorni abbiamo qualcuno che si è inventato l'animale, lo ha illustrato, compensando le parti mancanti con una liberalissima inferenza più o meno naive, lo ha colorato come meglio crede, e lo ha immesso in rete. E siccome al disegno è associato il nome scientifico del taxon, questa opera di pura fantasia può diventare l'iconografia "ufficiale" del taxon (controllate Wikipedia, e vedrete...). 
Non si tratta di una critica alla libertà di espressione, ma una critica alla mancanza di una cultura dell'illustrazione naturalistica, mancanza che induce una proliferazione spropositata di auto-didatti privi di cultura paleontologica e sopratutto (in questo caso) privi di cultura artistica.
La rete, ormai, è invasa (appestata?) di paleoartismo.
Per esempio, digitate su Google Immagini la parola "Deinonychus": la maggioranza dei risultati sono opere di paleoartismo, seguite da una minoranza di opere di illustratori professionisti, da una minoranza ancora più ridotta di immagini di ricostruzioni scheletriche (spesso a loro volta basate su calchi, non su veri resti fossili), e infine, una manciata scarsa di immagini delle ossa vere e proprie di Deinonychus! Siccome solamente le immagini delle ossa vere e proprie costituiscono immagini paleontologicamente valide di Deinonychus, risulta che l'iconografia online di Deinonychus è per la grandissima maggioranza fuorviante e fantasiosa. In una frase, la grande maggioranza delle immagini disponibili per Deinonychus è fatta da paleoartismo.

A dimostrazione che il paleoartismo sia un'epidemia che colpisce sopratutto, ma non solo, i dinosauri, provate a ripetere la ricerca usando la parola "Paragondolella" (un conodonte). Ottenete questa schermata:
In questo caso: la prima, la terza e la sesta immagine risultate sono pertinenti al taxon fossile Paragondolella, la quarta, quinta, la nona e la decima sono relative ad articoli scientifici, la seconda e la quarta, sebbene non pertinenti sono perlomeno immagini di fossili reali. Quindi, vedete che la ricerca su Google Immagini ha prodotto risultati scientificamente "più utili" che con Deinonychus. Ciò non stupisce, dato che i conodonti sono meno popolari, poco noti e sicuramente poco "cool" per l'illustratore medio, quindi più immuni al paleoartismo. Notate però che ci sono almeno 2 immagini di paleoartismo nei primi risultati: ricostruzioni di tetrapodi triassici coevi di Paragondolella. Se anche i conodonti sono (in modo limitato) affetti da paleoartismo, è evidente che siamo nel pieno di una pandemia...

Come scoprire se un soggetto è affetto da paleoartismo?
Ecco una breve lista di sintomi del paleoartismo (ognuno può controllare su sé stesso il suo grado di infezione):
- Appena è pubblicato un nuovo dinosauro, avere l'impulso a disegnarlo.
- Appena è pubblicata una nuova ipotesi paleontologica, desiderare di tradurla in un disegno "in vivo".
- Soffermarsi su aspetti estetici di una ricostruzione paleoartistica piuttosto che alla correttezza scientifica.
- Considerare le opere di paleoarte (incluse le ricostruzioni scheletriche) come "dato paleontologico".
- Disegnare caricature di dinosauri, o fumetti con personaggi paleontologici, per diffondere un messaggio paleontologico (più o meno corretto).
- Mescolare tra loro elementi dell'iconogragia fantasy e della paleoarte (ovvero, disegnare le creature fantastiche ispirandosi alla paleontologia, oppure, disegnare animali estinti ispirandosi alle creature del fantasy).
Considerazione finale, anche per mitigare le inevitabili* critiche alle mie parole: Non c'è nulla di male ad essere affetti da paleoartismo. Ognuno è libero di manifestare le proprie inclinazioni artistiche come meglio crede e sente. Tuttavia, sarebbe molto positivo se il paleoartismo fosse riconosciuto come tale, sia a livello individuale (se ne sei affetto, è bene che tu ne sia consapevole!) sia a livello di comunità paleontologica e paleoartistica. 
Il paleoartismo, alla lunga, può degenerare e fagocitare completamente la paleoarte. E ciò non sarebbe un bene.

*Una legge del web recita: non preoccuparti, ci sarà sempre qualcuno online che non condivide le tue opinioni.

28 dicembre 2013

Sulla Controversia relativa alle piume degli angeli e le scaglie dei diavoli, di Messere Andrea Cau, Anno Domini MMXIII


La discussione sul tegumento dei dinosauri sta vivendo una fase molto intensa ed accesa, con dibattiti (di varia profondità e interesse) ispirati da nuove scoperte fossili. Assieme ai resti fossili di theropodi ricoperti da strutture chiaramente omologhe alle penne degli uccelli (munite di rachide e vessillo, barbe e barbule), abbiamo anche esemplari che (non necessariamente in associazione a "vere" penne) mostrano strutture filamentose, chiamate spesso col termine di "proto-piume". Tuttavia, continuano ad essere scoperti anche esemplari di dinosauri con resti di un tegumento quasi universalmente identificato come "scaglie". Ne è nata una accesa discussione su quale sia il "tegumento ancestrale" dei dinosauri, se i "filamenti" scoperti in alcuni ornithischi siano omologhi a quelli dei theropodi, se i "filamenti" siano precursori evolutivi delle penne, se animali dotati di piumaggio e/o filamenti possano "ri-evolvere" le scaglie, se le scaglie e le piume possano essere presenti assieme nel medesimo individuo/taxon, se le piume e le scaglie siano strutture omologhe, se i filamenti degli pterosauri siano omologhi a quelli dei dinosauri, se le scutellature delle zampe degli uccelli siano scaglie omologhe con quelle rettiliane oppure siano una derivazione modificata del piumaggio. 
In buona parte di queste discussioni, spesso si cade in un errore.
La condizione di "piuma" o di "scaglia" richiede un'indagine istologica ed embriologica, ed entrambe sono - attualmente - impossibili da effettuare nei dinosauri mesozoici. Pertanto, ad essere rigorosi, strutture fossili prive di evidenti sinapomorfie delle scaglie o del piumaggio non potrebbero essere chiamate tali. 
Un chiarimento con un esempio. Se non ci sono dubbi che le strutture tegumentarie dotate di rachide e vessillo, inserite lungo il secondo dito, il secondo metacarpale e l'ulna in Caudipteryx siano omologhe alle penne remiganti degli uccelli viventi, tale assenza di dubbio deriva proprio da ciò che ho appena descritto: una robusta corrispondenza morfologica (presenza di rachide e vessillo) e topologica (posizione corrispondente lungo l'arto anteriore, in relazione alle medesime ossa sul medesimo lato) che si osserva tra le strutture in Caudipteryx e quelle negli uccelli. Ma questa robustezza manca per la maggioranza delle strutture negli altri dinosauri fossili. Le "scaglie tubercolate" dei dinosauri non sono automaticamente omologabili alle squame dei coccodrilli o degli altri rettili non-aviani. Le "proto-piume" di pterosauri e heterodontosauridi non sono automaticamente omologabili alle piume aviane. In breve, non tutto ciò che appare "squamato" potrebbe essere omologo alle squame che osserviamo nei rettili viventi, e non tutto ciò che è "piumato" potrebbe essere omologo alle piume che osserviamo negli uccelli di oggi. Attenzione: non sto negando che tale omologia esista, sto rimarcando il fatto che tale omologia deve essere testabile, e che tale controllo sia innanzitutto ontogenetico e istologico, ovvero, basato su dati che, per ora, non sono possibili da ricavare nei fossili.
Esempio paradossale, ma che serve a chiarire il senso delle mie parole. Le squame dei pangolini e degli armadilli, sebbene a prima vista possano apparire "scaglie rettiliane", sono istologicamente e ontogeneticamente non-omologhe alle scaglie rettiliane, e difatti sono strutture derivate dalla pelle dei mammiferi (ricordo che il pelo mammaliano NON è omologo alle scaglie rettiliane, sebbene entrambi condividano caratteri comuni dati dalla comune origine amniotica: le squame rettiliane, ad esempio, presentano un tipo di cheratina assente nei mammiferi). Se armadilli e pangolini fossero estinti, e non conoscessimo nulla della loro ontogenesi, come potremmo discriminare la natura delle loro squame rispetto alle scaglie? Sarebbe lecito chiamarle "scaglie" usando lo stesso termine usato per i rettili? A livello di impronta fossile, in effetti, potrebbero somigliare molto alle scaglie, quindi sarebbe lecito pensare che siano "la stessa cosa": ma ciò sarebbe un errore.
Pertanto, in assenza di chiare evidenze istologiche e ontogenetiche, ogni affermazione relativa all'omologia delle strutture dinosauriane (fossili), aviane e rettiliane (viventi) è ipotetica, e spesso viziata dalle nostre aspettative pre-concettuali relative a "come" si sia evoluto il tegumento nei dinosauri. Ripeto, non sto negando l'eventualità che le scaglie dinosauriane siano omologhe a quelle dei coccodrilli, sto solo mantenendo un approccio fondato sulla cautela: la condizione di "scaglia" è prima di tutto basata su dati che nei fossili possono essere lacunosi o del tutto assenti, quindi non sarebbe lecito affermare che qualcosa di "scaglioso" in un dinosauro sia automaticamente una scaglia.
Un metodo col quale aggiriamo il problema della non-sondabilità ontogenetica e istologica del tegumento dinosauriano è dato dalla analisi filogenetica: noi inferiamo l'omologia sulla base della distribuzione più parsimoniosa degli stati dei caratteri in una filogenesi. Ad esempio, la stretta vicinanza filogenetica tra Caudipteryx (un oviraptorosauro) e uccelli (dei paraviani) rende l'origine della penna remigante un singolo evento evolutivo avvenuto alla base del nodo "Oviraptorosauria + Paraves", e non occorre ipotizzare eventi evolutivi accessori per spiegare l'assenza di questo tegumento in altri dinosauri: questa ipotesi filogenetica quindi conferma la somiglianza morfologica e topologica tra le strutture in Caudipteryx e uccelli. In base allo stesso motivo, le "penne" di Longisquama (qualsiasi cosa esse siano) è altamente improbabile che siano omologhe alle penne aviane, dato che Longisquama risulta morfologicamente esterno a Maniraptora, Coelurosauria, Tetanurae, Theropoda, Saurischia, Dinosauria, Archosauria e forse persino Diaspida, tutti clade che, attualmente, non paiono avere la presenza delle penne remiganti come loro sinapomorfia: se ammettessimo un'omologia tra le longisquame e le penne, dovremmo ipotizzare una serie molto alta di "perdite di piumaggio" in tutte le linee evolutive più vicine agli uccelli che a Longisquama, serie di eventi che attualmente non sono confermati da alcun dato paleontologico.

Concludendo, io suggerisco di assumere un atteggiamento "neutro" nel descrivere le strutture tegumentarie dei dinosauri mesozoici, quando tali strutture non siano in modo robusto omologabili agli "equivalenti" viventi. Invece di "scaglia" suggerisco di usare "tegumento tubercolato"; invece di "proto-piuma" suggerisco di usare "tegumento filamentoso". Sarà il risultato a posteriori di una robusta indagine filogenetica a determinare la attendibilità di eventuali omologie tra queste strutture.
I termini neutri hanno anche il vantaggio (non minore in questi tempi di fanboys ossessionati con i nomi dei loro miti) di evitare di impegolarci in contorte discussioni nominalistiche tra "haters" e "lovers" di scaglie o piumaggio.

27 dicembre 2013

Mani di dinosauri, ossa umane

La mano è uno degli organi più versatili e sottostimati in Dinosauria. Ciò è conseguenza della loro condizione ancestrale bipede, che ha "liberato" la mano dal vincolo della locomozione (vincolo al quale, comunque, almeno 4 cladi di dinosauri sono tornati). Un buon criterio per distinguere un bravo paleoartista dei dinosauri da uno mediocre è nell'accuratezza con cui illustra le mani.
Per dare un'idea molto superficiale della complessità e variabilità delle mani dei dinosauri, ho usato lo scheletro della mano umana per "illustrare" le mani di alcuni dinosauri. Notare che i disegni sono essi stessi una grossa sottostima della variabilità reale, dato che non tengono conto delle differente nelle proporzioni delle ossa, nelle loro orientazioni nei tre piani dello spazio, ma soltanto del numero e posizione delle ossa.  Notare che nella maggioranza dei casi la formula (ovvero, il numero di ossa) nella mano dei dinosauri è molto minore che in quella umana, sebbene in alcuni casi sia stato necessario "aggiungere" ossa alla mano umana per rendere quella dinosauriana.
In giallo, i carpali; in verde, i metacarpali; in blu, le falangi non-ungueali; in rosso, le falangi ungueali.

26 dicembre 2013

Gli Ornithomimidi erano quadrupedi?

Appareo ergo sum



Dinosauromorpha è l'unico clade di Tetrapoda in cui la condizione quadrupede si è evoluta per ben cinque volte a partire da antenati bipedi: nei silesauridi, nei sauropodi, nei thyreophori, nei ceratopsoidi e negli ornithopodi. I theropodi, apparentemente, non parteciparono al trend, e rimasero tutti bipedi, come i loro antenati Triassici. In un post del passato scrissi sul perché i theropodi siano molto probabilmente dei bipedi obbligati. In breve, ci sono dei vincoli, specialmente a livello nella struttura del polso e della mano, che rendono l'arto anteriore una struttura predatoria non-adatta alla locomozione quadrupede.
Tuttavia, esiste un clade di Theropoda il cui arto anteriore si differenzia dalla "classica" conformazione predatoria, e che mostra un curioso mix di caratteristiche che ricordano gli arti anteriori dei dinosauri quadrupedi (in particolare, ornithopodi e sauropodi). Questi theropodi sono gli Ornithomimidae. In questo post, elenco i caratteri "inusuali" (per un theropode) presenti negli ornithomimidi, li confronto con i corrispondenti adattamenti al quadrupedismo negli altri dinosauri, e mi pongo questa domanda finale: gli ornithomimidi erano quadrupedi (perlomeno, facoltativamente)?
Prima di criticare in modo fazioso contro questa ipotesi così eterodossa (che io stesso propongo più come esercizio mentale, piuttosto che come effettiva proposta iconoclasta), consiglio ai miei lettori di leggere tutto il post fino alla fine. Come mostrerò, se un singolo carattere "simile" a quello dei dinosauri quadrupedi è sicuramente insufficiente per avere quadrupedismo, la sommatoria di più fattori può invece essere una prova discretamente valida.

24 dicembre 2013

Archaeovolans sensu Wikipedia Italia

Vi allego la pagina di Wikipedia Italia relativa ad Archaeovolans (un taxon non ritenuto valido, basato su parte di una chimera formata da resti di Microraptor e Yanornis), in cui mi sono imbattuto poco fa. Allego qui sotto l'immagine della pagina, per preservare questa perla anche per le generazioni future, qualora, come spero, essa sia corretta. Anzi, auspico che la pagina sia rimossa, con uso massiccio del Napalm, per poi cospargere tutto intorno con il sale e lo zolfo, affinché non attecchisca più nulla fino al prossimo secolo.

In rosso, ho sottolineato le assurdità, le imprecisioni, le idiozie e le pure scemenze presenti nella pagina. Alcune frasi sono talmente idiote che pare un palese scherzo: peccato che, probabilmente, il lettore medio non sia in grado di cogliere la buffonata, e quindi c'è la possibilità che legga la pagina con fiducia, considerandola "attendibile". 
Se non fosse la vigilia di Natale, penserei che sia il primo di Aprile...

Buon Saturnalia a tutti!


L'immancabile e ormai tradizionale cladogramma natalizio dei panaviani mesozoici, per l'occasione radicato sul sauropodomorfo basale Saturnalia.

Persone, pseudo-persone e anonimi

In questo blog, seguo una regola (anche se a volte la infrango... le regole, come le leggi naturali, sono fatte per essere infrante dalle eccezioni): i commenti anonimi o privi di firma vengono ignorati ed eliminati. A volte, trasgredisco la regola, quando il commento è meritevole (in senso positivo o negativo) di ricevere una replica: più per chiarire il mio pensiero agli altri lettori (quelli riconoscibili), che per replicare all'anonimo.
Il motivo per cui tendo a cancellare i commenti anonimi o privi di firma è sia pratico che etico.

Motivo pratico: più commentatori anonimi nel medesimo post sono indistinguibili, e ciò crea solo confusione e fraintendimento.
Immaginiamo che in un post commentino due persone distinte: A e B. Entrambe commentano senza firma e mantenendosi anonime. In questo caso, né io né altri commentatori siamo in grado di distinguere A da B, che appaiono di fatto come un unico commentatore "Anonimo". Ciò inevitabilmente, crea confusione, fraintendimenti, rende quindi la discussione un covo di equivoci. 
Dal punto di vista pratico, quindi, è da evitare la proliferazione degli anonimi.
Soluzione: se proprio non vuoi firmarti, almeno permetti ai lettori di distinguerti da altri anonimi. Esistono, a questo proposito, gli pseudonimi (di cui parlerò nella parte del "Motivo etico"). Un "Anonimo 1" contrapposto ad "Anonimo 2" è già utile per evitare confusione e fraintendimenti reciproci.

Motivo etico: l'assenza di nome delegittima il commento, che risulta solamente una mera serie di parole, perché non permette di legarlo ad una persona reale.
Un "commento" è un pensiero, un'opinione prodotta dalla mente di una persona. Non esiste il "commento slegato dall'autore". Pertanto, il commento è un output virtuale che deriva da un imput reale. Se non si può legare l'output del commento all'input dell'autore, il commento è imperfetto e privo di fonte, quindi qualitativamente inferiore ad uno con autore. 
Inoltre, un dialogo con un anonimo è un dialogo asimmetrico, sbilanciato a favore di chi è anonimo rispetto a chi si palesa. Io mi firmo col mio nome e cognome. Ci "metto la faccia" in quello che scrivo, nel bene e nel male, sia quando scrivo post meritevoli e approfonditi, sia quando scrivo delle emerite scemenze. Questa assunzione di responsabilità deve essere reciproca: io la pretendo anche da parte del lettore, il quale è tenuto a rispettarla. Qualora non la rispetti, io sono libero di rimuovere quei commenti.
Sia chiaro: io rispetto tutti. Ma non metto tutti sullo stesso livello di affidabilità e interesse. Personalmente, ho massimo interesse e fiducia per chi si firma col proprio nome, indipendentemente dal fatto che scriva qualcosa che condivido (a parte, ovviamente, chi insulta, scrive frasi offensive verso altri o diffama). Sono persone che si vogliono mettere in gioco, così come faccio io: giocando alla pari, sono considerati dei pari. Tollero, in virtù del "Motivo pratico" i commenti con pseudonimo, perché comunque sono distinguibili dagli altri, non generano confusione, e comunque possono essere identificabili anche in seguito in altri commenti, permettendo quindi di stabilire una sorta di "continuità" nel blog che simula, in parte, un legame "reale" fondato su persone che si frequentano regolarmente. Anche se non posso conoscere chi sia dietro lo pseudonimo, perlomeno so che è una persona reale della quale posso, in limitata parte, conoscere qualcosa accumulando le esperienze relative ai suoi vari commenti nel tempo.
Al contrario, i commentatori anonimi, oltre ad essere dannosi per il "Motivo pratico", sono intollerabili sul piano etico. Un "anonimo" è senza nome, senza identità, non è riconoscibile, quindi non è identificabile, e quindi non si vincola in modo responsabile alle proprie parole. Senza identità, quindi, è una non-persona. Un commento anonimo è quindi un commento "inutile" nell'economia della discussione e nella logica del dialogo. Le opinioni anonime partono delegittimate, perché si de-responsabilizzano rispetto a quelle firmate. Esprimere un commento anonimo è, a mio avviso, del tutto privo di valore, proprio perché dissocia l'opinione dalla responsabilità. Se si ha un'opinione e la si ritiene valida e significativa, è obbligo etico associarla ad una persona identificabile. Altrimenti, tanto vale tacere.
Notare che l'abuso dell'anonimato in Internet è diventato anche la scappatoia delle persone deboli e insicure. Tutti i frustrati, i repressi, ed i biliosi della rete abusano dell'anonimato, formando parte della ben nota schiera dei troll, dei provocatori e dei tanti personaggi esotici che usano Internet per essere ciò che non sono nel mondo reale. Sovente, chi non ha il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue idee ed opinioni, rifugge nell'anonimato. Lancia il sasso del commento ma nasconde la mano e la faccia. Perlomeno, il commento con pseudonimo è una pseudo-persona, un surrogato di dialogo reale, che comunque associa alle proprie opinioni un "soggetto" identificabile, per quanto non riconducibile al mondo reale. Un commento anonimo è una non-persona, un surrogato di niente che non può essere ricondotto alla realtà. Perlomeno, questa è l'impressione che ho di molti commenti anonimi.

Per questi motivi, indipendentemente dal fatto che li condividiate o meno, io discrimino i commenti su questo blog in base alla identificabilità dell'autore.

21 dicembre 2013

Dove sta Theropoda, tra i blog italiani?

BlogItalia è un sito che raccoglie le statistiche relative ai principali blog italiani. Nel sito, sono elencati 58646 blog italiani, elencati in base al traffico che li attraversa (come il numero di lettori e numero di contatti, o altre statistiche con cui si misura il "successo" di un sito).
In base a BlogItalia, Theropoda è al 111° posto nella lista totale di tutti i blog italiani presenti, ed al 12° posto su 2384 nella categoria "Natura e Salute" (la categoria, tra quelle disponibili, che più si avvicina ai contenuti del blog), al 9° posto su 2201 nella regione in cui ha "sede", ed al 1° posto su 187 nella provincia in cui ha "sede".
Essere il primo blog nella mia provincia, fa un po' sorridere. Al contrario, essere 111° sul totale, fa un ben diverso effetto: davanti a me ci sono "soltanto" 110 blog (alcuni con un calibro ed una "tiratura" ovviamente inarrivabili per un piccolo blog paleontologico come questo), ma dietro di me ce ne sono più di 58 mila...

18 dicembre 2013

2013, Annus Mirabilis

Ultima dozzina di giorni per il 2013. 
L'anno che sta per concludersi è stato veramente importante e significativo per me. Sul piano "professionale", è stato sicuramente l'anno migliore che mi sia capitato finora. Il più prolifico, soddisfacente e promettente. Quasi mi dispiace che si concluda (lo so, ciò è del tutto privo di senso).
In questo post, riassumo gli eventi paleontologici che mi hanno coinvolto.
Il Pliosauride del Kaberlaba (ricostruzione in vivo di D. Bonadonna)

In Febbraio, assieme a Federico Fanti abbiamo pubblicato la descrizione del primo scheletro articolato di plesiosauro rinvenuto in Italia (Cau e Fanti 2013). Il "pliosauro del Kaberlaba" include metà del cranio, una serie di vertebre, parte del cinto pettorale e delle pinne di un pliosauride basale di circa 3-4 metri di lunghezza. Questo fossile, proveniente da livelli di età Oxfordiana (Giurassico Superiore) del Rosso Ammonitico Veronese, sarà oggetto di ulteriori studi, che sto preparando.

Confronto dimensionale tra l'esemplare di "Steneosaurus barettoni" e l'olotipo di Neptunidraco (modificato da opera di D. Bonadonna).
In Aprile, ho pubblicato la ridescrizione di un altro rettile fossile dal Rosso Ammonitico (Cau 2013). Si tratta di un coccodrillo marino, scoperto alla fine del XVIII secolo, e attribuito un secolo dopo al genere Steneosaurus. Nel mio studio, ho revisionato le affinità evolutive di questo fossile, ed ho dimostrato che esso è difatti riferibile a Neptunidraco. La (ri)scoperta di un nuovo esemplare di Neptunidraco ha aggiunto informazioni utili per comprendere la morfologia e filogenesi del metriorhynchide italiano.
Aurornis (opera di E. Troco)
Alla fine di Maggio, è stato pubblicato lo studio più importante al quale sono stato coinvolto. Godefroit et al. (2013) descrivono un nuovo paraviano dal Giurassico Superiore della Cina, Aurornis xui. Nella ampia analisi filogenetica che ho realizzato (traendola da Megamatrice) e che abbiamo incluso in questo studio, Aurornis risulta il rappresentante più basale di Avialae, quindi un taxon-chiave per comprendere la transizione evolutiva che conduce agli uccelli.

Ricostruzione scheletrica di Tataouinea (opera di M. Auditore).
In Luglio, viene pubblicata la descrizione della prima specie di dinosauro (mesozoico) tunisino, il rebbachisauride Tataouinea hannibalis (Fanti et al. 2013a). Scoperto nel 2011 da un team italiano guidato da Federico Fanti, questo sauropode è il primo non-aviano a presentare una pneumatizzazione dell'ischio, un carattere legato ad un meccanismo di ventilazione polmonare da uccello.

Bobosaurus (opera di D. Bonadonna)
In Settembre, Fabbri et al. (2013) pubblicano uno studio in cui analizzano nel dettaglio le affinità evolutive di un rettile marino friulano, Bobosaurus, risalente all'inizio del Triassico Superiore. Nello studio, dimostriamo che la posizione filogenetica di Bobosaurus è stabilmente collocata alla base di Plesiosauria, e che pertanto questo rettile italiano è il rappresentante più primitivo di questo gruppo.

Ricostruzione ipotetica di un titanosauriforme basale (opera di D. Bonadonna).

All'inizio di Novembre, Fanti et al. (2013b) descrivono resti isolati di titanosauriformi e rebbachisauridi dal Cretacico Inferiore della Tunisia. Sebbene non si tratti di resti completi e significativi come quelli di Tataouinea, questi fossili aggiungono informazioni per comprendere l'evoluzione dei sauropodi africani del Cretacico.

Ringrazio i miei coautori in questi studi, in particolare Federico "geologo prestato alla paleontologia" Fanti, col quale ho realizzato il maggior numero di ricerche.
Il 2013 è stato veramente eccezionale, e sarà difficile che il 2014 possa eguagliarlo come risultati. Nondimeno, ho una serie di nuovi studi in preparazione, alcuni dei quali prossimi alla pubblicazione, e che sono ugualmente interessanti e significativi. Inoltre, chissà che il futuro prossimo non riservi qualche sorpresa inaspettata. La speranza, quindi, è che l'ottimo trend iniziato in questi 12 mesi continui e dia altri frutti.

Restate quindi sintonizzati su Theropoda, per le prossime scoperte e pubblicazioni!

Bibliografia:

Cau A. 2013 - The affinities of 'Steneosaurus barettoni' (Crocodylomorpha, Thalattosuchia), from the Jurassic of Northern Italy, and implications for cranial evolution among geosaurine metriorhynchids. Historical Biology DOI:10.1080/08912963.2013.784906

Cau A., and Fanti F. 2013 - A pliosaurid (Reptilia, Plesiosauria) from the Rosso Ammonitico Veronese Formation of Italy. Acta Palaeontologica Polonica http://dx.doi.org/10.4202/app.2012.0117. 

Fabbri M., Dalla Vecchia F.M., Cau A. 2013 - New information on Bobosaurus forojuliensis (Reptilia: Sauropterygia): implications for plesiosaurian origin and evolution. Historical Biology doi:10.1080/08912963.2013.826657.

Fanti F., Cau A., Hassine M., Contessi M. 2013a - A new sauropod dinosaur from the Early Cretaceous of Tunisia with extreme avian-like pneumatization. Nature Communications 4, 208:1-7. doi:10.1038/ncomms3080.

Fanti F., Cau A., Hassine M. 2013b - Evidence of titanosauriforms and rebbachisaurids (Dinosauria: Sauropoda) from the Early Cretaceous of Tunisia. Journal of African Earth Sciences 90: 1-8 doi:10.1016/j.jafrearsci.2013.10.010.


Godefroit P., Cau A., Hu D.-Y., Escuillié F., Wu W., and Dyke G. 2013 - A Jurassic avialan dinosaur from China resolves the early phylogenetic history of birds. Nature 498: 359–362. doi:10.1038/nature12168

17 dicembre 2013

The Ajancingenia Affaire: (parziale) soluzione

Vi ricordate la recente revisione tassonomica di Ingenia? In questo blog, avevo smascherato l'evidente plagio e condotta poco etica dell'autore della revisione, condotta poi analizzata nel dettaglio da Mickey Mortimer, dal cui sito era stato plagiato buona parte del testo presente in quell'articolo.
Oggi, esce un Erratum su Zootaxa che si propone di rimediare al misfatto.
Tuttavia, tale soluzione è parziale, dato che non menziona minimamente il fatto che Barsbold (autore del nome "Ingenia") non sia stato coinvolto nella revisione di Ingenia.
Una brutta e mediocre pagina di tassonomia, con un altrettanto mediocre epilogo.

14 dicembre 2013

Test su Majungasaurinae

In un precedente post, ho parlato di Arcovenator, e dell'ipotesi di un clade comprendente gli Abelisauridae indiani, malgasci ed europei, battezzato Majungasaurinae, comprendente Arcovenator, Majungasaurus, Rahiolisaurus, Rajasaurus, Indosaurus ed il "mascellare di Pourcieux". Sebbene considerata una topologia presente in tutti i risultati dell'analisi da Tortosa et al. (2013), ho mostrato che ripetendo l'analisi della matrice in quello studio, Arcovenator non risulta sempre in Majungasaurinae, ma può occupare anche posizioni più basali in Abelisauridae. Ciò solleva dei dubbi sulla robustezza di Majungasaurinae. Questo clade risulta anche in Megamatrice? Con quale inclusività?
Nella versione attuale di Megamatrice (417 OTU vs 1639 caratteri), aggiornata con i dati in Tortosa et al. (2013), nel consenso stretto delle topologie più parsimoniose risultanti, Abelisauridae ha una topologia completamente differente da quella in Tortosa et al. (2013). Majungasaurinae sensu Megamatrice comprende (a parte Majungasaurus, per definizione) Kryptops (basato esclusivamente sul mascellare olotipico, senza il postcraniale, che risulta invece in Allosauroidea; da notare che in Tortosa et al. (2013), Kryptops è una chimera formata dal mascellare + il postcranio riferito) ed alcuni abelisauridi senza nome basati su esemplari non inclusi nell'analisi di Tortosa et al. (2013). Gli altri taxa collocati in Majungasaurinae sensu Tortosa et al. (2013) non risultano in quel clade. Rajasaurus risulta basale a Carnotaurinae. Arcovenator risulta con altri abelisauridi nella parte basale del clade. Rahiolisaurus risulta esterno ad Abelisauridae. Il "mascellare di Pourcieux" risulta in Carcharodontosauria, affine all'olotipo di Carcharodontosaurus iguidensis. Notare che questa ultima relazione non è possibile da ottenere nell'analisi di Tortosa et al. (2013), la quale non campiona all'esterno di Ceratosauria.
Imponendo la monofilia di Majungasaurinae sensu Tortosa et al. (2013), le topologie risultanti sono 16 steps più lunghe del risultato non-forzato: Majungasaurinae risulta una politomia totalmente irrisolta, a sua volta sister-group di un'ampia politomia comprendente buona parte degli abelisauridi ad eccezione di Eoabelisaurus, Ilokelesia, Rugops, Dahalokeli, Xenotarsosaurus ed un abelisauride patagonico senza nome.

Bibliografia:
Tortosa, T, Buffetaut E, Vialle N, Dutour Y, Turini E, Cheylan G. (2013). A new abelisaurid dinosaur from the Late Cretaceous of southern France: Palaeobiogeographical implications. Annales de Paléontologie doi:10.1016/j.annpal.2013.10.003.

13 dicembre 2013

1200000

Ringrazio i lettori del blog, per la loro costante presenza: oggi Theropoda ha superato 1 milione e 200 mila contatti!

Arcovenator escotae, un nuovo abelisauride europeo - Prima parte

Olotipo di Arcovenator e ricostruzione del cranio.

Tortosa et al. (2013) descrivono i resti di un nuovo abelisauride di dimensioni medie (comparabile a quelle degli esemplari noti di Majungasaurus) dal Cretacico Superiore del sud-est della Francia, ed istituiscono Arcovenator escotae. L'esemplare comprende un tetto cranico con il neurocranio ben conservato, alcuni denti, una caudale anteriore ed una tibia (più altri resti isolati riferiti).
Arcovenator è uno dei theropodi meglio conservati dal Cretacico Superiore europeo, e mostra affinità, in particolare a livello del neurocranio, con Majungasaurus e Rajasaurus. In base ad una nuova analisi filogenetica (la più dettagliata attualmente pubblicata relativa ai ceratosauri, comprendente anche gli abelisauroidi europei, come Genusaurus, inclusi resti frammentari come il mascellare di Pourcieux), Tortosa et al. (2013) istituiscono un clade comprendente gli abelisauridi europei, malgasci e indiani: Majungasaurinae.
Il risultato dell'analisi di Tortosa et al. (2013) mostrato nell'articolo è difficile da valutare: se si ripete l'analisi secondo la procedura che gli autori descrivono, quella topologia non risulta nel consenso stretto. Inoltre, se si svolge l'analisi con 1000 repliche della ricerca euristica (invece che le 50 svolte dagli autori), le topologie parsimoniose ottenute sono molto più numerose, e di conseguenza la risoluzione si abbassa ulteriormente. Di conseguenza, Majungasaurinae non risulta in tutte le topologie a causa dei "taxa jolly", dato che la base di Abelisauridae collassa in un'ampia politomia. Se si analizzano i risultati dell'analisi di controllo che ho svolto, Arcovenator occupa solamente due posizioni alternative: come Abelisauridae basale di posizione incerta (esterno a "Majungasaurinae + Brachyrostra"), oppure come membro di Majungasaurinae. Pertanto, l'ipotesi di Tortosa et al. (2013) è plausibile, ma non esclusiva: essa è una tra le possibili ugualmente parsimoniose che si ottengono analizzando quella matrice.
Aldilà di queste valutazioni topologiche, Tortosa et al. (2013) notano che il mascellare di Pourcieux proviene dalla medesima regione di Arcovenator, e che i due sono stratigraficamente prossimi (sebbene non coevi): data la comune posizione come potenziali Majungasaurinae, essi potrebbero quindi formare un clade di abelisaurid francesi.
In un prossimo post, parlerò dell'effetto dell'inclusione dei dati da Tortosa et al. (2013), incluso Arcovenator, in Megamatrice.

Bibliografia:
Tortosa, T., et al. (2013) A new abelisaurid dinosaur from the Late Cretaceous of southern France: Palaeobiogeographical implications. Annales de Paléontologie http://dx.doi.org/10.1016/j.annpal.2013.10.003

12 dicembre 2013

La cresta carnosa di Edmontosaurus (Bell, Fanti, Currie e Arbour 2013)

Il nuovo aspetto di Edmontosaurus regalis.
Continua la serie di scoperte dinosaurologiche di notevole interesse ed importanza, legate a paleontologi italiani. Sul numero di oggi di Current Biology è pubblicato una ricerca che ha delle evidenti conseguenze sul piano "estetico" oltre che scientifico, relative ad alcuni dinosauri molto noti. Io ero al corrente di questo studio da almeno un anno, dato che uno degli autori della ricerca è Federico Fanti. Nel periodo in cui preparavamo l'articolo su Tataouinea, Federico mi mostrò le foto di un nuovo, eccezionale esemplare dell'hadrosauride Edmontosaurus regalis, scoperto proprio da Federico durante un periodo di studio in Alberta (Canada). Ricordo che la mia primissima espressione alla vista del fossile fu di totale sconcerto: come notò Federico, la stessa espressione disegnata sul mio volto era apparsa su quello di Phil Currie alla vista del fossile. Quindi, posso considerarmi in un'ottima compagnia di sconcertati, e penso a ragione.
In alto, foto dell'esemplare in situ. In basso, due viste dell'esemplare dopo essere stato preparato. Le frecce indicano la cresta carnosa sulla sommità del cranio.

L'esemplare, articolato e conservato tridimensionalmente, include non solo le ossa del cranio e del collo in connessione anatomica, ma grazie alle peculiari condizioni sedimentarie, ha preservato nel dettaglio la forma e struttura del tegumento, formato da una serie di grandi squame ellittiche associate a squamature più piccole. Già questo dettaglio sarebbe di notevole interesse. Tuttavia, la preservazione non si limita alla forma delle texture della pelle, ma comprende anche dettagli sulla dimensione e posizione di strutture tegumentarie che erano del tutto ignote fino ad ora. In particolare, l'esemplare mostra una vistosa escrescenza arrotondata nella regione frontoparietale, che ricorda una cresta non-ossea simile a quelle che osserviamo oggi in molti uccelli. Questa "cresta" è parte integrante del tessuto tegumentario, ed è formata esclusivamente da parti molli. Difatti, essa è topograficamente analoga alle creste ossee di molti altri hadrosauridi, e quindi non stupisce, da questo punto di vista, che sia presente proprio in una specie priva di creste ossee. Si tratta quindi della prima testimonianza di creste cefaliche non-ossee in un dinosauro mesozoico. 
Aldilà delle ovvie implicazioni paleoartistiche o paleobiologiche (che per ora lascio a chi è più esperto di me in materia di Hadrosauridae), questo studio rimarca una legge fondamentale della paleontologia, che ho spesso menzionato: la tafonomia comanda ed impone ciò che noi possiamo vedere e scoprire. Edmontosaurus è infatti uno dei dinosauri meglio conosciuti, grazie a decine di scheletri spesso in ottimo stato di preservazione. Tuttavia, in nessuno dei fossili precedenti era presente traccia di questa struttura carnosa. Ed anche ammettendo che la cresta sia legata allo stadio ontogenetico e al genere sessuale, e quindi non sia presente in tutti gli individui e in ogni fase della loro vita, nondimeno è indispendabile che le condizioni di seppellimento permettano di preservare le parti molli. Solo eventi deposizionali eccezionali come questo hanno permesso la conservazione di strutture corporee non-scheletriche.

Ho chiesto a Federico qualche ulteriore dettaglio o curiosità sul fossile e la sua scoperta:

Si tratta di un tratto di fiume ristretto (meno di un km in lunghezza) con diversi livelli fossiliferi (tra cui quelli con le impronte di salamandre che abbiamo pubblicato da poco) da cui provengono parecchie ossa. In realtà la mummia descritta è una delle mummie di hadrosauri che abbiamo trovato, per ora la meglio conservata (anche tutta la parte dell'orecchio interno è perfetta, così come l'altro lato dove però la copertura dei tessuti è più incompleta). In realtà sembra che ce ne siano almeno quattro di 'mummie' che però sono ancora in fase di scavo.
Il lavoro che stiamo facendo al sincrotrone dell'università di Regina (sempre coordinato da me) sta mettendo in risalto tutte le strutture della pelle in dettaglio e cominciamo a trovare cose inaspettate (catene organiche, cromatofori, etc.).
Che altro... è il più antico esemplare di E. regalis mai trovato (in più la datazione che forniamo da bentonite nell'articolo viene da diversi metri sopra il giacimento).
In termini di ecosistema è molto diverso dai classici del sud (Dinosaur Park per intenderci) e sia la tipologia dei sedimenti (depositi fluviali molto fangosi e pieni di vegetazione, suoli saturi di acqua, ambienti tipo paludi, fauna con grandi vertebrati tyrannosauroidi, nodosauri, edmontosaurus) e contesto paleolatitudine, rendono il tutto molto più simile ai giacimenti dell'Alaska che non a quelli di Edmonton per intenderci.
E poi è figo!
 
Congratulazioni a Federico ed ai suoi co-autori per questo eccezionale ritrovamento, che conferma - in generale - quanto ancora ci sia da scoprire a proposito dei dinosauri, e - nel particolare - quanto possa essere importante il contributo dei paleontologi italiani in questa disciplina.

Bibliografia:
Bell, Fanti, Currie, Arbour. 2013. A Mummified Duck-Billed Dinosaur with a Soft-Tissue Cock’s Comb. Current Biology http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2013.11.008

Ingegneria di un gigante

Mi sono imbattuto in questa foto: si tratta di un escavatore gigante mobile, in azione in una miniera a cielo aperto. La testa dell'escavatore è sulla sinistra, e letteralmente "mangia" il sedimento man mano che procede. Questa struttura può continuare a scavare a terra mentre si muove, mantenendo per lunghi periodi di tempo la "testa" inclinata verso il terreno, con un ridotto consumo di energia, grazie al sistema di leve e tiranti che si ancorano all'impalcatura. 
Quando ho visto la foto, sono rimasto folgorato: vedete anche voi quello che vedo io?
No?

09 dicembre 2013

Omen nomen

Richard Owen (fonte: Wikipedia)

I nomi scientifici dei taxa sono sovente sovrastimati. Alla fine, fa poca differenza, sul piano pratico, se quel particolare sauropode nordamericano si chiama Brontosaurus excelsus invece che Apatosaurus excelsus. Eppure, c'è chi non manca di infervorarsi nel difendere sequenze arbitrarie di simboli/fonemi da associare a ipotesi tassonomiche.
In altri casi, tuttavia, i nomi hanno una valenza più profonda, perché rispecchiano concezioni, teorie e paradigmi alternativi, la cui adesione o conferma è ben più importante della mera applicazione di una parola.
Il primo uomo nella storia a riconoscere l'esistenza di un'entità zoologica naturale (oggi, diremmo "clade") corrispondente a ciò che oggi universalmente chiamiamo Dinosauria fu Von Meyer, che nel 1832, nel classificare i rettili fossili, identificò un gruppo a cui, pur non dando loro un nome, riferì una ben precisa diagnosi: "Sauriani con gli arti come quelli dei grandi mammiferi terrestri". In quel gruppo, Meyer incluse due generi fossili scoperti di recente, Megalosaurus ed Iguanodon, i due generi su cui è ancorata la definizione filogenetica di Dinosauria e che noi oggi seguiamo per stabilire cosa "sia un dinosauro".
Nel 1841, Owen definì Dinosauria sulla base di una dettagliata serie di caratteri osteologici, ed incluse in questo gruppo tre generi: Megalosaurus, Iguanodon e Hylaeosaurus. Di fatto, Owen stava battezzando il gruppo identificato da Meyer 9 anni prima. Nel 1845, Meyer, in ritardo rispetto al paleontologo inglese, battezzò il gruppo da lui identificato nel 1832 come Pachypoda.
Pertanto, sebbene nominalmente prioritario, Dinosauria si può considerare come un concetto sinonimo di quello a cui è associato il termine Pachypoda. Tuttavia, siccome vale la regola che è la data di coniazione del nome (e non del concetto) a stabilire la priorità, noi parliamo di dinosauri e non di pachypodi. 
Se dipendesse da me, comunque, il nome da associare ai nostri fossili preferiti non sarebbe né Dinosauria né Pachypoda. La mia preferenza, e per una questione squisitamente paradigmatica più che idiosincratica, va ad un termine coniato da Thomas Huxley nel 1870 (quindi, 29 anni dopo Dinosauria e perciò destinato all'oblio delle sinonimie junior).
Dinosauria è sicuramente uno dei nomi più "fortunati" della paleontologia. Questo termine ha travalicato le ottuse fortificazioni del regno paleontologico, si è spogliato della sua rigorosa tunica di ascetico rigore tassonomico, si è abbellito di una sgargiante livrea popolare ed è stato assimilato nel grande dominio delle parole colloquiali. Da questo punto di vista, "dinosauro" è un termine che mi sta un po' antipatico. "Dinosauro" è fuorviante nella sua accezione popolare, frainteso da quasi tutti coloro che lo menzionano fuori dal discorso scientifico, ed abusato dalla retorica. Come paleontologo, quindi, evito di usare "dinosauro" quando non parlo di paleontologia.
A parte questa mia personale allergia per "dinosauro", ho motivi più profondi per provare un certo senso di fastidio con quella parola.
Il termine "dinosauro" nacque nel 1841, e fu coniato da Richard Owen anche e sopratutto al fine di dare sostegno alla sua personale visione della storia naturale. Per Owen, i dinosauri erano "la forma rettiliana che più si era avvicinata a quella mammaliana". La concezione oweniana, chiaramente, sottintende la Scala Naturae, ovvero l'idea che le forme viventi possano essere ordinate lungo una "catena dell'essere", in virtù di una tendenza generale verso una perfezione organica che corrisponde - guarda caso - alla condizione umana. Siccome la condizione umana è una manifestazione del bauplan mammaliano, questo ultimo rappresenta, nel sistema della Scala Naturae, il "grado" di massima perfezione animale. I dinosauri, pertanto, sarebbero agli occhi di Owen, come i "rettili perfetti" che tesero (pur nei limiti della loro inferiore condizione rettiliana) verso la superiore condizione mammaliana. Di conseguenza il "Dinosauria" coniato da Owen può essere legittimamente tradotto come "i rettili più potenti", con "potenza" inteso proprio come la Potenza divina di ordinare le forme verso la perfezione. 
Thomas Huxley (fonte: Wikipedia)

Anche se noi abbiamo abbandonato questa concezione del processo di formazione e sviluppo delle forme viventi, continuiamo comunque a perpetuare il nome creato da Owen a sostegno di tale concezione. 
La nostra attuale concezione della vita e del suo processo di sviluppo nacque pochi anni dopo la creazione di Dinosauria. Nel 1859, la teoria darwiniana si affermò come  rivoluzionaria proprio perché rovesciava il senso comune con cui i fenomeni naturali dovevano essere interpretati. Le forme viventi non erano manifestazioni di tendenze intrinseche verso una perfezione ideale, bensì prodotti contingenti di processi di differenziazione ed adattamento di strutture pre-esistenti. Alla luce del Darwinismo, quindi, le somiglianze tra organismi non esprimono una immanente tensione verso forme ideali, bensì sono la conseguenza storica della discendenza da antenati comuni.
Thomas Huxley, il più famoso sostenitore della teoria darwiniana della fine del XIX secolo, perlomeno in ambito paleontologico, fu il primo a riconoscere la potenza del paradigma darwiniano anche nell'interpretare la documentazione paleontologica. I fossili erano quindi testimonianza del processo evolutivo, e nei fossili era possibile identificare le connessioni tra le forme viventi, altresì apparentemente discontinue e - pertanto - illusoriamente manifestazioni separate di processi (creativi) distinti.
Huxley per primo riconobbe l'errore di Meyer e di Owen, che entrambi avevano ricondotto le peculiarità dei dinosauri ad una forma di tensione verso la forma mammaliana. Nel 1870, Huxley notò che nessun attributo particolare presente nei dinosauri era riconducibile ai mammiferi. Era un altro gruppo animale vivente quello che Huxley identificò come il più simile (e quindi, evolutivamente più affine) ai dinosauri: gli uccelli. Nella struttura, morfologia e nelle proporzioni degli arti posteriori e del bacino, dimostrò Huxley, i Dinosauria erano chiaramente intermedi tra gli altri rettili, da un lato, e gli uccelli, dall'altro lato. Queste similitudini permisero a Huxley di collegare alcuni fossili, fino ad allora considerati slegati da Dinosauria, sia con questi ultimi che con gli uccelli. Compsognathus, un piccolo fossile scoperto 10 anni prima, difatti, altro non era che una versione miniaturizzata dei Dinosauri, e nella sua morfologia generale, esso non era altro che una forma intermedia tra gli uccelli e i dinosauri.
Per sancire queste rimarchevoli somiglianze morfologiche, e la loro origine comune da un unico ceppo evolutivo, Huxley coniò il termine Ornithoscelida, letteralmente "gambe da uccello".
Ornithoscelida, pertanto, corrisponde al gruppo naturale che comprende non solo i grandi dinosauri "pachypodi" di Meyer e Owen, ma anche le forme di piccole dimensioni, gracili, come i "Compsognatha", un termine che possiamo considerare equivalente al grado dei theropodi non-graviportali.
Pertanto, "Dinosauria" e "Ornithoscelida" esprimono due concetti alternativi di vedere i medesimi fossili. "Dinosauria" esprime una visione pre-darwiniana ed ortogenetica del mondo naturale, sotto la lente distorta di una Scala Naturae puramente antropocentrica, in cui i dinosauri sono "rettili-surrogati-mammaliani". "Ornithoscelida" esprima una visione darwiniana, ramificata e continua del processo evolutivo, in cui gli ornithoscelidi sono il gruppo zoologico comprendente il ramo dei rettili da cui si originarono gli uccelli. Per una bizzarria della storia, il termine corrispondente al concetto obsoleto è stato mantenuto, mentre quello corrispondente alla concezione attuale è stato dimenticato.

Forse, ci può essere una speranza per conservare Ornithoscelida? Ad esempio, come un possibile sinonimo senior per un qualche clade di Panaves più inclusivo di Dinosauria? Se non, addirittura, per lo stesso Panaves?

08 dicembre 2013

Lo strano caso del Dottor Irritator e Mister Angaturama

Angaturama limai e Irritator challengeri sono due taxa di theropodi spinosauridi dal Membro Romualdo della Formazione Santana del Brasile (Martill et al. 1996; Kellner e Campos 1996). Entrambi i taxa sono riferibili a Spinosauridae per la presenza di indubbie sinapomorfie del clade (ad esempio, Angaturama ha una sutura interdigitata tra premascellare e mascellare, 7 denti prescellari, ed una "rosetta" premascellare; Irritator ha narici arretrate oltre il margine orale del premascellare, denti conici, lacrimale con angolo posterodorsale acuto, basisfenoide molto profondo), ed in particolare a Spinosaurinae in quanto condividono sinapomorfie con Oxalaia e Spinosaurus assenti in Baryonyx nei denti che hanno carene marcate ma che non presentano denticoli.
Lo status tassonomico di questi due theropodi è controverso: istituiti a distanza di poche settimane nel 1996 (con Irritator avente priorità), esiste l'eventualità che essi siano sinonimi (Sues et al. 2002). Tale sinonimia è tuttavia indimostrabile attualmente, nel senso che i due taxa non hanno parti confrontabili direttamente, e quindi non è possibile stabilire se le autapomorfie di ciascuno siano presenti nell'altro.
Nondimeno, una serie di prove indiziarie ci porta a sostenere questa sinonimia, ed in particolare a ritenere che gli olotipi di questi due taxa fossero in origine due parti del medesimo individuo, che furono separate (per cause non chiare) e interpretate come due individui distinti (Sues et al. 2002). (Già è un onore essere l'olotipo di una specie, qui abbiamo un singolo individuo che è olotipo di due generi!).
Angaturama è basato su una coppia di premascellari articolati, parzialmente erosi e mancanti la parte posteriore del ramo subnariale, in connessione con la parte più anteriore del mascellare. Irritator è basato su un cranio ben articolato ma parziale, che manca della parte anteriore del mascellare e la quasi totalità dei premascellari ad eccezione della parte posteriore del ramo subnariale. Notate che le parti del cranio mancanti in Angaturama sono presenti in Irritator e le parti del cranio mancanti in Irritator sono presenti in Angaturama. Nessuno dei due ha parti presenti nell'altro, come ci aspetteremmo nel caso siano due parti separate del medesimo cranio. 
Infine, i due esemplari sono della medesima dimensione, al punto che se li allineiamo in connessione anatomica, si può riconoscere la forma originaria di un cranio singolo, lungo circa 70 cm, con l'inconfondibile profilo da spinosauride.
Cranio di Irritator (da Sues et al. 2002, parte sinistra ribaltata per confronto con la destra) e di Angaturama (da Kellner e Campos 1996), allineati per mostrare la buona corrispondenza delle dimensioni. Le frecce nere dentro la parte ricostruita (rosso) indicano la continuità tra il ramo subnariale del premascellare da Angaturama a Irritator.
Pertanto, anche se non ci sono prove dirette di una connessione anatomica tra i due esemplari, né autapomorfie che li possano riferire al medesimo taxon, tutte le prove indiziarie concordano nel ritenerli parti di un medesimo individuo. L'alternativa, a mio avviso molto meno plausibile, è ipotizzare la seguente serie di eventi: 1) due crani della stessa dimensione di 2) due taxa molto simili di spinosaurini di cui 3) si sono preservati per puro caso solamente le parti "alternative" del rostro e del resto del cranio in grado di "simulare" un cranio singolo. Non so voi, ma come spiegazione alternativa mi pare un po' troppo forzata.

Bibliografia:
Kellner, A.W.A., Campos, D.A. (1996). First Early Cretaceous dinosaur from Brazil with comments on Spinosauridae. N. Jb. Geol. Paläont. Abh. 199 (2): 151-166.
Martill, D. M.; Cruickshank, A. R. I.; Frey, E.; Small, P. G.; Clarke, M. (1996). A new crested maniraptoran dinosaur from the Santana Formation (Lower Cretaceous) of Brazil. Journal of the Geological Society 153: 5-8.
Sues, H. D.; Frey, E.; Martill, D. M.; Scott, D. M. (2002). Irritator challengeri, a Spinosaurid (Dinosauria: Theropoda) from the Lower Cretaceous of Brazil. Journal of Vertebrate Paleontology 22 (3): 535-547.

07 dicembre 2013

La dinamica (poco cinematografica) dei bipedi giganti

Silhouette dei più grandi esemplare noti di Tyrannosaurus (modificato da ricostruzione scheletrica di Hartman) e di Spinosaurus (modificato da ricostruzione in vivo di Bonadonna e Maganuco). Con lunghezze comprese tra 12 e 14 metri, e masse tra 5 e 10 tonnellate, questi bipedi giganti sono una sfida intellettiva per chiunque voglia comprendere come corpi così grandi si muovessero in modo efficiente.
I film di animazione ci hanno abituato a dinosauri immersi in scene molto dinamiche. Vediamo animali grandi come Tyrannosaurus inseguire automobili, abbattere recinzioni, fare balzi, girarsi di scatto, impennare e scontrarsi con grande forze e relativa velocità. Quanto sono realistiche queste scene?
Per rispondere a questa domanda, occorre combinare le conoscenze generali sulla biomeccanica dei vertebrati terrestri con le informazioni particolari relative a questi animali. 
Una prima parte della risposta viene dall'osservazione degli animali viventi, e da alcune semplici nozioni di fisica. All'aumentare delle dimensioni (e della massa), animali morfologicamente simili tendono ad essere meno agili e più lenti. Il motivo è dovuto a due principi fisici: il secondo principio della dinamica lega l'accelerazione (che definisce la "agilità") con la forza necessaria a generare tale accelerazione. Se la massa raddoppia, per ottenere la stessa accelerazione occorre fornire una forza muscolare doppia. La forza muscolare, a sua volta, è proporzionale alla sezione dei muscoli (l'area della sezione trasversale alla direzione di contrazione del fascio muscolare), ovvero, per avere una forza doppia occorre avere muscoli con una sezione doppia.
Se combiniamo questi due fattori, e li leghiamo per valutare come variano al variare delle dimensioni, vediamo che la massa è proporzionale al cubo della lunghezza (dipende infatti dal volume), mentre la sezione muscolare al quadrato della lunghezza (dipende infatti dalla superficie della sezione del muscolo).
Ad esempio, se l'animale A è lungo 1 metro e genera una forza muscolare F per una massa M, quale forza genera l'animale B, lungo isometricamente il doppio di A? La sua massa sarà 2 al cubo, quindi 8 volte la massa di A, mentre la forza dei suoi muscoli sarà 2 alla seconda, ovvero 4 volte la forza di A. Di conseguenza, se il rapporto Forza/Massa in A risulta pari a 1, in B sarà pari a 4/8 ovvero 1/2. E siccome l'accelerazione è data da Forza/Massa, l'accelerazione (e quindi l'agilità) di B risulta la metà di quella di A.
Questo è il motivo generale per cui gli animali più grandi sono meno agili di quelli piccoli.
L'esempio che ho mostrato è molto astratto e generico. Come ho accennato in un precedente post, nessun animale è una copia isometrica di un altro più piccolo: l'allometria è sempre imperante. Infatti, l'allometria (ovvero, il variare delle proporzioni tra le parti del corpo tra animali simili ma di dimensioni differenti) è proprio un adattamento volto a compensare in parte la legge generale sulla riduzione delle "prestazioni" che ho mostrato sopra.
Per "contrastare" almeno in parte la inevitabile perdita di agilità dovuta alle grandi dimensioni, gli animali di grande mole tendono a modificare le proporzioni corporee, al fine di massimizzare la potenza muscolare necessaria a muovere le loro masse maggiori, tenendo in conto il fatto che, comunque, i muscoli di maggiori dimensioni avranno sempre una forza relativa minore (proprio perché le loro sezione cresce più lentamente di quanto cresca la massa). Ad esempio, nei theropodi, le forme di maggiori dimensioni hanno in proporzione arti posteriori più corti, e negli arti posteriori la tibia ed i metatarsi risultano in proporzione più accorciati rispetto al femore: ciò genera leve che richiedono una minore massa muscolare. Inoltre, il bacino tende ad essere più lungo ed ampio, proprio per aumentare la quantità di fasci muscolari (e quindi, la sezione totale) necessari a muovere gli arti. Nondimeno, anche con questi accorgimenti, le leggi della fisica vincono sempre, e quindi i grandi dinosauri sono di necessità vincolati a prestazioni meccaniche relativamente ridotte rispetto ai loro parenti di dimensioni inferiori. 
Un altro motivo che vincola queste prestazioni dinamiche è legato all'energia cinetica generata nel moto. Per fermare un corpo in moto (o per fargli cambiare direzione) è necessario compiere un lavoro per contrastare la sua energia cinetica, la quale è proporzionale alla massa ed al quadrato della velocità. Questo significa che per fermare un animale che si muove a velocità X occorre un'energia E, ma per fermare uno che si muove a velocità 2X occorre un'energia 4E. Se ribaltiamo la questione, un animale che impatta a velocità 2X deve avere un corpo capace di resistere ad un'energia 4 volte superiore a quella necessaria a resistere ad un impatto a velocità X. Ovvero, a parità di velocità, gli animali di grandi dimensioni corrono rischi molto più gravi di essere feriti o uccisi da impatti o cadute rispetto a quelli di dimensioni minori. Questo "rischio" tende quindi a selezionare animali di grande mole relativamente più massicci e robusti (e quindi, di conseguenza, ancora meno "agili") ma anche a sfavorire lo sviluppo di adattamenti cursori in questi giganti, privilegiando comportamenti e stili di vita meno "rischiosi".

Pertanto, anche senza entrare nel pantano dei calcoli, delle simulazioni o speculazioni quantitative, è evidente che i grandi theropodi non fossero equivalenti dal punto di vista dinamico ai theropodi di dimensioni inferiori. Esattamente come la solennità e la potenza sono la norma nei grandi mammiferi di oggi (come elefanti e ippopotami), mentre l'agilità e la velocità sono prerogativa delle specie di dimensioni inferiori (come antilopi e zebre), è plausibile che i theropodi giganti fossero relativamente lenti e solenni, e che non fossero capaci di corse o scatti. Ciò non significa che queste fossero creature letargiche, esattamente come un elefante o un ippopotamo non sono animali indolenti, per quanto non sicuramente dei campioni di velocità e scatto: anche una camminata con lunghe falcate (ricordo che Tyrannosaurus ha gambe lunghe più di 3 metri) permetteva a questi animali di spostarsi con la velocità necessaria alle loro vite. Alla scala dimensionale dei grandi theropodi, quindi, i movimenti seguivano una dinamica differente da quella a cui siamo abituati noi piccoli vertebrati ben sotto la tonnellata. E, se ci pensate, è lo stesso motivo per cui solamente un theropode grande come un calabrone (il colibrì) è capace di super-prestazioni dinamiche impossibili anche ad un animale come un piccione. Ogni scala dimensionale ha quindi le sue leggi e vincoli, le sue "dinamiche" ed "energetiche".
Pertanto, immaginare un theropode di 5 tonnellate e 12 metri di lunghezza che si gira rapidamente, scatta, balza, insegue e compie corse, è molto probabilmente un'illusione dei film di fantascienza.